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Blog di Fabio Cuoppolo, 27 anni, che ha la pretesa, ogni tanto, di instillare qualche dubbio nei suoi pochi affezionatissimi lettori

martedì 11 gennaio 2011

CRONACA DI UNA STRAORDINARIA FOLLIA "POLITICA"

A Moncalieri accade che un consigliere comunale dell'Italia dei Valori propone un minuto di silenzio in apertura del Consiglio Comunale di dicembre per ricordare il sindaco Vassallo di Pollica ucciso qualche giorno prima dalla camorra. La proposta gli viene rigettata dalla conferenza capigruppo, per una questione formale. Secondo i capigruppo del centrodestra e (incredibile, ma poi mica tanto) dei Verdi la proposta andava fatta in conferenza e non sui giornali. La proposta viene quindi bocciata, non si fa il minuto di silenzio. Finita qui? Macchè. Un articolo online del presidio di Libera a Moncalieri racconta la storia, Guida viene accusato di rilevare fatti avvenuti in conferenza capigruppo (l'attività istituzionale è libera e pubblica salvo casi particolari, non si capisce quindi il nodo regolamentare della protesta), e gli arriva una querela. 

Di fronte alla speculazione politica su un semplice minuto di silenzio doveroso per ricordare un amministratore onesto che ha difeso con la morte il suo territorio dalle infiltrazioni criminali, si affianca il tentativo di intimidire un giovane consigliere comunale di 23 anni che nei fatti prova a eliminare le brutte abitudini di una vecchia politica rinchiusa nel palazzo e che non vuole intromissioni dai cittadini e dai giornali. 

Per leggere la storia raccontata nei dettagli  da Davide Guida sul suo blog: 

sabato 8 gennaio 2011

IN RICORDO DI BEPPE ALFANO

Diciotto anni fa fu ucciso dalla mafia Beppe Alfano, professore e giornalista che ha raccontato con articoli ed inchieste i traffici e gli interessi delle cosche locali messinesi. Salutando i ragazzi di Idv che sono scesi a Barcellona Pozzo di Gotto insieme a Sonia per la commemorazione del padre, pubblico un estratto di un articolo di Lucarelli su Beppe Alfano. 

Beppe Alfano non è un vero giornalista. O meglio, non lo è ufficialmente, non ha il tesserino dell'ordine, ha 47 anni, è un professore di educazione tecnica in una scuola media di un paese vicino. Ha cominciato con le radio private alla fine degli anni '70, a Messina, poi, negli anni '80, le televisioni locali. E i giornali, anche, da tre anni è il corrispondente locale per un quotidiano di Catania, la Sicilia. Politicamente, Beppe Alfano è un militante che viene dall'estrema destra e poi è approdato all' Msi di Giorgio Almirante, anche se ha spesso dei problemi con i vertici perché è troppo indipendente, troppo allergico ai compromessi, tanto che per un periodo viene anche sospeso dal partito. Un giornalista e un politico tutto d'un pezzo, un uomo di destra, quella di Paolo Borsellino, per esempio, che ha idee precise sull'ordine, sulla legge e sullo stato, e su quelle non scende a compromessi.
Un giorno, però, alla fine del '92, parlando con i familiari di quello che sta succedendo in città, Beppe Alfano dice che succederà qualcosa anche a lui. “Mi uccideranno entro la fine di dicembre”, dice. Dicembre passa, passa Natale, passa Capodanno ma l'incubo non svanisce. “Ormai è questione di giorni, dice agli amici. “Non mi hanno ucciso a dicembre, lo faranno prima della festa di San Sebastiano”.
Beppe Alfano non poteva saperlo, ma aveva detto la stessa cosa anche Pippo Iannello, un personaggio importante della criminalità organizzata di Barcellona, ad un altro pregiudicato, Maurizio Bonaceto. Beppe Alfano, aveva detto Iannello, era da considerarsi un uomo morto. Ma perché? Solo perché era bravo? Cosa succede a Barcellona in quegli anni?
In quel periodo è interessata da una lotta fratricida di mafia. E' la fine degli anni '80, quando inizia Mani Pulite. A Barcellona e nell'hinterland il vecchio sistema di potere comincia a scricchiolare. Intanto viene realizzato il raddoppio ferroviario che porta finanziamenti nuovi e finisce di rompere gli equilibri. E' un posto particolare, Barcellona, come lo è tutta la provincia di Messina. Dal punto di vista criminale Messina è sempre stata considerata una provincia “babba”, un po' tonta, perché lì la mafia non c'è, non ha saputo organizzarsi per sfruttare illegalmente le risorse del territorio. Ma non è vero. La mafia a Messina c'è, eccome, solo che non si vede molto. E come emergerà dalle indagini successive, dal processo “Mare Nostrum”, da quello che verrà chiamato il processo al “verminaio di Messina”, da quello che segue all'omicidio di una ragazzina di paese che forse aveva visto troppo e che si chiama Graziella Campagna, la mafia si è anche messa d'accordo con esponenti politici, ha fatto amicizia con magistrati e uomini delle forze dell'ordine per gestire indagini e processi e per garantire una latitanza dorata a boss ricercati. Si è messa in società con imprenditori per inserirsi nell'economia, anche quella illegale. Si è anche fusa con un'altra cosca, quella del boss Nitto Santapaola, che sta a Catania.
Una mafia così ci tiene a far credere di non esistere, a tenere tutto tranquillo e sottotono, a sembrare “babba”. Ma non è vero. Barcellona, per esempio, è un piccolo centro, ha quarantacinquemila abitanti, ma è sempre stato un posto importante per la mafia e fino dagli anni '70. Da lì passavano le rotte del contrabbando di sigarette che poi si sono trasformate in quelle della droga verso il continente, direttamente gestite dalla mafia di Palermo. Lì c'è una raffineria di eroina gestita dal boss Francesco Marino Mannoia, e sempre lì, a Barcellona, c'è un importante manicomio giudiziario, controllato da Cosa Nostra, in cui, grazie a perizie psichiatriche compiacenti, finiscono boss come Tano Badalamenti, boss della 'Ndrangheta e anche capi della mafia americana. Naturalmente, lì la vita è molto diversa da quella che normalmente ci sarebbe in un manicomio giudiziario, ed è facile anche evadere, quando si vuole. E poi, a Barcellona ci sono i soldi, c'è il raddoppio della linea-ferroviaria da fare, c'è l'autostrada Messina-Palermo, ci sono gli appalti e i subappalti. Tutto questo, tutta questa tranquillità che sembra avere il suo boss in Francesco Rugolo e il suo simbolo e il suo garante in un ricco imprenditore, Francesco Gitto, presidente della squadra di calcio cittadina, amico di politici come l'allora sottosegretario al Ministero degli Interni, parente di gente importante come Mario Cuomo, il governatore di New York, tutta questa tranquillità apparente viene sconvolta a metà degli anni '80.
Nel 1986, a Terme Vigliatore, vicino a Barcellona, torna Pino Chiofalo, detto “u' seccu”. “U' seccu” si è fatto tanti anni di galera, ma adesso è uscito e vuole la sua parte. Pino Chiofalo fa parte della piccola mafia che vuole emergere, fuori dalle regole e dal controllo di Cosa Nostra e quello che compie con i suoi 200 mila uomini, a Barcellona, è un vero e proprio bagno di sangue. Girolamo Petretta, storico referente delle famiglie palermitane, ammazzato nel novembre dell'87, Franco Emilio Iannello in marzo, Carmelo Pagano in luglio, Francesco Ghitto in dicembre. Quindici giorni dopo la morte di Francesco Ghitto c'è un blitz della polizia. Pino Chiofalo è a Pellaro, in provincia di Reggio Calabria , impegnato in un summit con i suoi luogotenenti, praticamente tutto lo stato maggiore della sua “famiglia”. La polizia arriva, a colpo sicuro, e li arresta tutti. “U' seccu” finisce dentro di nuovo, si prende l'ergastolo e resta in carcere fino al '95, quando comincia a collaborare con la giustizia. Ammette la responsabilità di tutti gli omicidi di quella sanguinosa guerra di mafia, ma accusa alcuni magistrati e alcuni esponenti delle forze dell'ordine di essere d'accordo con la cosca avversaria, sostenuta direttamente dal boss catanese Nitto Santapaola, che li avrebbe usati per toglierlo di mezzo in maniera pulita. Tolto di mezzo Chiofalo, la situazione si normalizza. Molti dei suoi passano con lo schieramento vincente e arrivano gli appoggi della cosca di Santapaola. Il capo dell'ala militare, l'uomo forte di Barcellona, il referente di Nitto Santapaola, diventa un giovane di buona famiglia, Giuseppe Gullotti.
Ancora. Dal 25 maggio 1992 anche a Barcellona c'è il Tribunale e c'è un pm che sembra considerarlo una trincea per la lotta alla Mafia. Viene dal nord e ha bisogno di informazioni, così tra il sostituto procuratore Olindo Canali e Beppe Alfano, il giornalista bene informato, il segugio che sa fare il suo mestiere, il cane sciolto che non guarda in faccia a nessuno e si lancia contro tutti per rispettare il suo ideale di verità e di giustizia, tra il giornalista e il magistrato d'assalto si stabilisce da subito un rapporto molto stretto. Poi, succede qualcosa. Beppe Alfano vuole parlare con il magistrato. Ma non c'è tempo.
Prima della festa di San Sebastiano aveva detto. La festa di San Sebastiano si tiene il 20 gennaio. L'8, la sua macchina accosta in via Marconi. Alfano abbassa il finestrino. Un colpo alla mano che si copre il volto, uno in bocca, uno alla tempia destra e uno al torace. Calibro 22, un calibro piccolo, da professionisti, silenzioso e micidiale se saputo usare. Perché? Cosa ha scoperto quel giornalista? Quel “cane sciolto” che sa fare bene il suo mestiere?
In quel periodo Beppe Alfano aveva alcune fissazioni. Una è l'influenza economica di Nitto Santapaola a Barcellona, per esempio. E' anche convinto che il boss di Catania sia nascosto l^ e ha ragione. Lui non lo sa, perché morirà prima, ma il boss per un po' di tempo è stato nascosto proprio a Barcellona. In via Trento, a pochi metri da casa sua. Un'altra è l'AIAS, un'associazione che si occupa di assistenza agli spastici, ha sedi in tutta la Sicilia e la sede di Milazzo è la più ricca e meglio finanziata, con centinaia e centinaia di dipendenti, un ingentissimo patrimonio immobiliare e un giro di miliardi. Nei suoi articoli, Beppe Alfano scrive di acquisti gonfiati, di assunzioni facili, di interessi privati, provocando un'inchiesta che coinvolge Nino Mostaccio, presidente dell'AIAS. Altra fissazione, Beppe Alfano sembra convinto di aver scoperto una loggia massonica deviata a Barcellona. A Barcellona, però, non c'è una loggia massonica. C'è un circolo, un circolo culturale molto antico che si chiama Corda Fratres, di cui fanno parte molti nomi noti di Barcellona, esponenti di tutti i settori della società e di tutte le parti politiche. Della Corda Fratres fanno parte molte persone note e rispettate, ma c'è anche un personaggio molto particolare, che al momento della sua iscrizione non è ancora salito alla ribalta della cronaca e almeno ufficialmente è ancora un bravo ragazzo di Barcellona, figlio di una famiglia bene. Il boss Giuseppe Gullotti.
Le indagini sull'omicidio di Beppe Alfano si concludono in fretta. Il 18 novembre 1993 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Messina emette tre ordinanze di custodia cautelare in carcere. Una è per Nino Mostaccio, il presidente dell'AIAS, accusato di essere il mandante dell'omicidio Alfano. L'altra è per Giuseppe Gullotti, accusato di essere l'organizzatore dell'omicidio. La terza è per Nino Merlino, considerato uno dei Killer del clan di Gullotti. Ad accusarlo è un collaboratore di giustizia, Maurizio Bonaceto, che dice di essere passato per via Marconi la sera dell'omicidio e di aver visto che parlava con Alfano.
Il 15 maggio 1996, la Corte d'Assise di Messina condanna Nino Merlino a 21 anni e 6 mesi e assolve Nino Mostaccio e Giuseppe Gullotti. Bonaceto a ritrattato tutto e così anche un altro testimone chiamato in causa, Lelio Coppolino. Ricorso in appello da parte di pm e difesa di Merlino e nuovo processo.
Il 6 febbraio 1998 la Corte d'Appello conferma la condanna a Merlino e capovolge la sentenza per Gullotti, condannandolo a trent'anni. Mostaccio esce dal processo, completamente scagionato.
La Corte di Cassazione annulla la condanna di Merlino, per cui deve essere rifatto il processo e il 17 aprile 2002, la Corte d'Assise di Regio Calabria cambia ancora e assolve Nino Merlino. In carcere resta soltanto Giuseppe Gullotti, condannato a trent'anni per aver organizzato l'omicidio di Beppe Alfano.
Ma non finisce qui. C'è un collaboratore di giustizia, che si chiama Maurizio Avola. E' di Catania e fa parte della cosca di Nitto Santapaola. E' un uomo importante, che faceva parte del gruppo di fuoco che uccise un altro giornalista, Giuseppe Fava, a Catania, e quando collabora confessa almeno cinquanta omicidi. Parla anche di Alfano. Maurizio Avola dice che Alfano sarebbe stato ucciso su ordine di Cosa Nostra perché aveva scoperto che dietro il commercio degli agrumi si nascondevano gli interessi di Nitto Santapaola e di insospettabili imprenditori legati alla massoneria. Riciclaggio di denaro sporco attraverso i fondi della Comunità Europea, grosse quantità di denaro spariscono nel nulla. Un'attività che farebbe capo a Barcellona. Su questo argomento esiste un'indagine della Procura Distrettuale Antimafia di Messina, ancora in corso e di cui non si conoscono gli sviluppi. Il mistero, per adesso, resta ancora. Chi ha ucciso Beppe Alfano? E perché?

martedì 4 gennaio 2011

FIAT

Senza addentrarmi nella questione firma del contratto e investimenti su Mirafiori scrivo questo flash per riflettere su un paio di dati. 

Nel 2010 Fiat ha immatricolato circa il 20% di auto in meno rispetto al 2009 (già dato pesante causa crisi e soltanto truccato dalla droga incentivi). Ha perso circa il 2% di quote di mercato in Europa. Non ha sfornato più nuovi modelli, se non qualche restyling. (qualcosina in più han fatto Lancia e Alfa Romeo che infatti han tenuto).

Negli ultimi 2 giorni, dopo lo spin off, il titolo Fiat ha guadagnato circa il 10%. Negli ultimi 6 mesi si è apprezzato di circa il 100%. E io che pensavo che vendendo a 10 euro per azione si era già fuggiti in tempo, mentre ora, senza spin-off, saremmo a quasi 16.5 euro.

Per la serie l'economia finanziaria scollegata dall'economia reale.